IL CONSIGLIO DI STATO 
 
    In  sede  giurisdizionale  (Sezione  Sesta)  ha  pronunciato   la
presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale  4772  del
2013, proposto dalla societa' Nicotra Energia  Srl,  rappresentata  e
difesa dagli avvocati Maria Alessandra Sandulli  e  Filippo  Lubrano,
con domicilio eletto presso la prima in Roma, corso Vittorio Emanuele
349; 
    Contro Gestore  di  Servizi  Energetici  (Gse),  rappresentato  e
difeso dall'avv. Aristide Police,  con  domicilio  eletto  presso  lo
stesso in Roma, via di Villa Sacchetti 11; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio  -  Roma,  Sezione
III ter, n. 03776/2013,  resa  tra  le  parti,  concernente  denegato
accesso agli  incentivi,  di  cui  al  decreto  del  ministero  dello
sviluppo economico in data 19 febbraio 2007 e applicazione  dell'art.
43, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di  Gestore  di  Servizi
Energetici (Gse); 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il  Cons.
Gabriella De Michele e uditi per le parti  gli  avvocati  Sandulli  e
Police; 
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: 
 
                                Fatto 
 
    Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio,
Roma, sez. III ter, n. 3776/13 del 15 aprile 2013  (che  non  risulta
notificata) e' stato respinto  il  ricorso  proposto  dalla  societa'
Nicotra Energia S.r.l. avverso il provvedimento  n.  GSE/P20110030087
del 10 giugno 2011, con cui il Gestore  dei  Servizi  Energetici  Spa
(GSE) dichiarava decaduta la citata societa' dal diritto alle tariffe
incentivanti, nonche' avverso i provvedimenti GSE/P20110068217 del 27
ottobre 2011 e GSE/P20120108029 del 20 giugno 2011, di conferma della
decadenza e di esclusione dalla concessione  di  ulteriori  incentivi
per dieci anni, per mancato completamento dell'impianto entro  il  31
dicembre 2010. 
    Nella citata sentenza si sottolineava  come  gli  atti  impugnati
fossero stati emessi in applicazione dell'art. 2 sexies del  d.l.  25
gennaio 2010, n. 3 (convertito in legge  22  marzo  2010,  n.  41)  e
dell'art. 43, del decreto legislativo  n.  28  del  2011,  implicanti
accesso alla tariffa  incentivante  solo  in  caso  di  completamento
dell'impianto fotovoltaico,  in  termini  strutturali  ed  elettrici,
entro la data sopra indicata (31 dicembre 2010), con  relativa  messa
in esercizio entro il 30 giugno 2011. 
    In rapporto a detto contesto normativo, le censure di  violazioni
procedurali (come quella riferita all'art. 10  bis,  della  legge  n.
241/90), cosi' come di  erroneo  apprezzamento  dei  fatti  sarebbero
state  infondate,  non  risultando  mai  comunicata  al  gestore   la
necessita' di intervenire sull'installazione gia' completata, in modo
tale da far venire  meno  (al  momento  dell'ispezione)  l'attitudine
della stessa ad entrare in funzione; dagli atti  ispettivi,  inoltre,
sarebbero emerse numerose carenze  dell'impianto,  sotto  il  profilo
strutturale ed elettrico, mentre gli eventi meteorici  segnalati  non
avrebbero avuto carattere di eccezionalita', di modo che le segnalate
difficolta' di drenaggio sarebbero state,  eventualmente,  indice  di
carenze progettuali. 
    Nella medesima sentenza si afferma che la  differenza  di  regime
sanzionatorio, per le sole tariffe riconosciute  in  via  transitoria
dal  citato  art.  2   sexies,   troverebbe   giustificazione   nella
coesistenza  temporale  di  due  regimi  di  incentivazione,  per  la
realizzazione di impianti fotovoltaici, con condizioni di particolare
vantaggio per i soli impianti ultimati entro la fine del 2010: quanto
sopra allo scopo di sollecitare gli imprenditori, con  iniziative  in
avanzato  stato  di  realizzazione,  a  raggiungere  in  tempi  brevi
l'obiettivo  di  immettere  energia  pulita  nel  sistema   elettrico
nazionale. Le misure  punitive,  previste  per  le  imprese  che  non
rispettassero le regole imposte,  avrebbero  avuto  dunque  finalita'
"non solo afflittiva, ma  soprattutto  di  deterrenza  dal  formulare
richieste improprie in  assenza  dei  requisiti  di  legge":  nessuna
applicazione estensiva o analogica delle norme, rilevanti nel caso di
specie, sarebbe dunque possibile.  Non  vi  sarebbe  stata,  inoltre,
applicazione  retroattiva  delle  misure  in  questione,   risultando
presentata la richiesta di incentivi,  nel  caso  di  specie,  il  22
luglio 2011. Avverso la predetta sentenza e' stato proposto l'atto di
appello in esame (n. 4772/13, notificato  il  18  giugno  2013),  con
ampia ricostruzione della situazione normativa e di fatto,  rilevante
nella situazione in esame. 
    Le censure prospettate investivano in parte la legittimita' della
decadenza e della relativa conferma, in parte la violazione dell'art.
10  bis,  della  legge  n.  241/1990,  in  parte   il   provvedimento
sanzionatorio   del   20    giugno    2012,    prevalentemente    per
incostituzionalita' e contrasto con la disciplina comunitaria,  sotto
molteplici profili, della  norma  applicata  (art.  43,  del  decreto
legislativo n. 28/2011). 
    Il Gestore dei Servizi Energetici  -  GSE  Spa,  costituitosi  in
giudizio, ribadiva in dettaglio la  completezza  dell'istruttoria  ed
eccepiva,  in  via  preliminare,  la  parziale   inammissibilita'   o
improcedibilita'  dell'azione  dell'appellante,  data   l'intervenuta
accettazione senza riserva della  tariffa  incentivante,  di  cui  al
decreto ministeriale 6 agosto 2010 (cosiddetto Terzo Conto Energia). 
    La previsione dell'art. 43, del decreto legislativo  n.  28/2011,
in ogni caso,  non  risulterebbe  irragionevole  ne'  sproporzionata,
tenuto conto del rilevante interesse  pubblico  sotteso  al  rispetto
delle norme sull'accesso ai benefici  economici  e  dell'esigenza  di
neutralizzare  condotte  fraudolente  di  operatori  economici,   che
dichiarassero  la  sussistenza  di  una  condizione  nei  fatti   non
veritiera e, quindi, per reprimere tentativi di frode in  pregiudizio
all'erario, in forma di indebito conseguimento di risorse pubbliche. 
    Il medesimo art. 43, del  citato  decreto  legislativo,  inoltre,
imporrebbe non una  sanzione  in  senso  proprio,  ma  un  "requisito
soggettivo  di  onorabilita'",  la  cui  mancanza  non  potrebbe  non
ritenersi preclusiva dell'invocato incolpevole affidamento. 
    Con sentenza parziale n. 3024  del  12  giugno  2014  sono  state
respinte l'eccezione di acquiescenza, formulata dal GSE, e quella  di
difetto di presupposti per mancanza  della  richiesta  di  incentivi,
formulata dalla societa' appellante; si e' accertato in fatto  che  i
lavori non erano stati effettivamente conclusi entro il  31  dicembre
2010 e si e' riservata a separata ordinanza la rimessione alla  Corte
costituzionale  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011. 
 
                               Diritto 
 
    1. La controversia in esame si inscrive nell'ambito delle vicende
relative  agli   incentivi   per   la   realizzazione   di   impianti
fotovoltaici, previsti originariamente  dal  decreto  legislativo  29
dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'),  il  cui  art.  7
demandava  a  successivi  decreti  la  definizione  dei  criteri  per
l'incentivazione della produzione di energia  elettrica  dalla  fonte
solare, anche per quanto riguarda le modalita' per la  determinazione
dell'entita'  della  specifica  tariffa  incentivante,   di   importo
decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione  dei
costi di investimento e di esercizio. 
    In  attuazione  di  tale  norma  sono  stati  emanati  i  decreti
ministeriali in data 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto  2010
e 5 maggio 2011 (denominati, rispettivamente, primo, secondo, terzo e
quarto conto energia),  con  i  quali,  in  particolare,  sono  state
determinate le condizioni di erogazione delle suddette tariffe ed  e'
stato affidato al Gse il compito di controllare le dichiarazioni rese
dai richiedenti e di provvedere all'assegnazione degli incentivi.  Il
secondo conto energia, che qui rileva, ha previsto  l'erogazione  dei
benefici per gli impianti entrati in  esercizio  in  data  successiva
alla deliberazione dell'Autorita' per l'energia elettrica e il gas n.
90/2007 e fino al 31 dicembre 2010. In sostanziale coerenza, l'art. 2
sexies del decreto legge 25 gennaio 2010 n. 3, introdotto dalla legge
di conversione 22 marzo 2010, n. 41 ha riconosciuto  il  beneficio  a
tutti soggetti che avessero concluso,  entro  il  31  dicembre  2010,
l'installazione dell'impianto fotovoltaico ed  avessero  "inviato  la
richiesta di connessione dell'impianto di produzione  entro  l'ultima
data utile affinche' la connessione" fosse  realizzata  entro  il  31
dicembre 2010. 
    Poiche',    peraltro,    l'entrata    in    esercizio    scontava
l'autorizzazione  del  gestore  di  rete  alla  connessione  e   alla
realizzazione dell'impianto,  per  la  quale  erano  necessari  tempi
lunghi  e  non  preventivabili,  sottratti  alla  disponibilita'  del
soggetto richiedente, l'art. 1 septies  del  decreto-legge  8  luglio
2010, n.  105,  convertito  nella  legge  13  agosto  2010,  n.  129,
modificando tale art. 2 sexies ha esteso la possibilita' di usufruire
delle tariffe previste dal secondo conto energia a tutti gli impianti
che alla data del 31 dicembre 2010 avessero completato  i  lavori  di
realizzazione dell'impianto e fossero poi entrati in esercizio  entro
il 30 giugno 2011, ponendo quale  condizione,  oltre  a  quelle  gia'
previste dall'art. 5, del decreto ministeriale del 19  febbraio  2007
(tra le quali la presentazione della richiesta  del  beneficio  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell'impianto), la
comunicazione al gestore della rete e al Gse della fine lavori  entro
la suddetta data del 31 dicembre 2010, asseverata dalla dichiarazione
di un professionista. Per il caso di false dichiarazioni,  l'art.  11
del suddetto decreto ministeriale del 19 febbraio 2007  prevedeva  la
decadenza dal diritto alla tariffa incentivante per l'intero  periodo
per la quale e' prevista, mentre il decreto legge n. 105 del 2010 non
contiene una  specifica  disposizione  in  tal  senso;  peraltro,  il
decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28,  recante  attuazione  della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da  fonti
rinnovabili, ha esplicitamente posto, all'art.  23,  terzo  comma  il
seguente principio: "Non hanno titolo a percepire gli  incentivi  per
la produzione di energia da fonti  rinnovabili,  da  qualsiasi  fonte
normativa previsti, i soggetti per i quali le autorita'  e  gli  enti
competenti abbiano accertato che,  in  relazione  alla  richiesta  di
qualifica degli impianti  o  di  erogazione  degli  incentivi,  hanno
fornito  dati  o  documenti  non   veritieri,   ovvero   hanno   reso
dichiarazioni false o mendaci. Fermo restando il recupero delle somme
indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli
incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell'accertamento  e  si
applica  alla  persona  fisica  o  giuridica  che  ha  presentato  la
richiesta, nonche' ai seguenti soggetti: 
      a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; 
      b) il soggetto responsabile dell'impianto; 
      c) il direttore tecnico; 
      d) i soci, se si tratta di societa' in nome collettivo; 
      e)  i  soci  accomandatari,  se  si  tratta  di   societa'   in
accomandita semplice; 
      f) gli amministratori  con  potere  di  rappresentanza,  se  si
tratta di altro tipo di societa' o consorzio. 
    Di tale regime, riprodotto nel quarto conto  energia  di  cui  al
decreto  ministeriale  5  maggio  2011,  l'art.   43,   del   decreto
legislativo n. 28 del 2011  ha  previsto  l'applicazione  anche  alle
situazioni pregresse. 
    La norma appena richiamata infatti dispone che  "fatte  salve  le
norme  penali,  qualora  sia  stato  accertato  che   i   lavori   di
installazione dell'impianto  fotovoltaico  non  sono  stati  conclusi
entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame  della  richiesta  di
incentivazione  ai  sensi  del  comma  1,  dell'art.  2-sexies,   del
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, e successive modificazioni, il  GSE
rigetta l'istanza di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione
dagli incentivi dagli impianti che utilizzano anche in altri siti  le
componenti  dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.  Con  lo
stesso provvedimento il GSE dispone l'esclusione dalla concessione di
incentivi per la produzione di energia elettrica di  sua  competenza,
per un periodo di dieci  anni  dalla  data  dell'accertamento,  della
persona fisica o giuridica che ha presentato la  richiesta,  nonche'"
dei soggetti elencati dal precedente art. 23. 
    2. Nella fattispecie in esame, la  societa'  Nicotra  Energia  ha
presentato entro il 31 dicembre 2010 la comunicazione di fine  lavori
ai sensi dell'art. 1 septies del d.l. n. 105 del 2010 per  l'impianto
sopra  indicato;  il  Gestore,  dopo  il  sopralluogo  di  competenza
effettuato il 3 marzo  2011,  ha  rilevato  la  mancata  prova  della
realizzazione dell'impianto fotovoltaico con componenti non impiegati
per altri impianti ed ha, di conseguenza, dichiarato la decadenza dal
diritto alle tariffe incentivanti. 
    Il 27 ottobre 2011 il Gse ha poi disposto, ai sensi dell'art. 43,
decreto legislativo n.  28  del  2011,  l'esclusione  della  societa'
Nicotra Energia dalla concessione degli incentivi per un  periodo  di
dieci anni. 
    3. Con la  sentenza  impugnata  il  Tribunale  amministrativo  ha
respinto il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. 
    4. Respinte con la sentenza parziale le eccezioni preliminari, ai
fini della risoluzione della controversia in esame  e'  pregiudiziale
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43,  del
decreto legislativo n. 28 del 2011. 
    5. Il giudizio di rilevanza impone di  interpretare  la  suddetta
disposizione anche al fine di valutare la  possibilita'  di  fornirne
una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da  ultimo,
Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). 
    Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza impugnata,
ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel  senso  che
la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del
completamento  di  due  fasi  temporalmente   separate:   la   prima,
costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro
il 31 dicembre 2010;  la  seconda  fase,  successiva  all'entrata  in
esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla
richiesta di incentivi da  presentare  al  GSE  entro  il  successivo
termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza  di  un
fatto illecito a formazione progressiva. 
    Ad avviso di  questo  collegio,  invece,  il  fatto  illecito  si
perfeziona  in  un  unico  contesto  temporale  nel  momento  in  cui
l'impresa presenta la comunicazione  di  fine  lavori  (incompleta  o
falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. 
    Tale esito interpretativo e' l'unico possibile  per  le  seguenti
ragioni. 
    In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa  rilevante
e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che
sussistono  due  richieste  di  incentivi:  la  prima  da  presentare
unitamente  alla  comunicazione  di  fine  lavori;  la   seconda   da
presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. 
    L'art. 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano
essere  presenti,  per  il  perfezionamento  del  fatto  illecito,  i
requisiti costituiti dalla  comunicazione  di  fine  lavori  e  dalla
richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente  indicata,  e',
anche in ragione di quanto si dira' oltre,  quella  che  deve  essere
presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla  comunicazione
di fine lavori. 
    Nella fattispecie oggetto del  presente  giudizio  risulta  dagli
atti che la societa' Nicotra Energia ha depositato nel  procedimento,
unitamente  all'attestazione  di  fine  lavori,  anche  la   suddetta
richiesta nel termine sopra indicato. 
    In secondo luogo, il significato assegnato alla  disposizione  e'
l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione.  Il
legislatore, infatti, ha previsto che  tale  potere  e'  esercitabile
alla scadenza del predetto  termine  del  31  dicembre  2010.  Se  il
perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta
di  incentivi  successiva  all'entrata  in  esercizio   dell'impianto
sarebbe stato questo il momento che  avrebbe  consentito  l'esercizio
della funzione di verifica da parte del GSE. La stretta  correlazione
tra fatto illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce,
pertanto,  a   ritenere   che   il   comportamento   che   giustifica
l'applicazione della misura in esame sia posto  in  essere  entro  il
suddetto termine del 31 dicembre 2010. Si tenga conto,  inoltre,  che
l'esito negativo dei controlli per l'impresa determina  di  fatto  un
arresto   del   procedimento   con   conseguente   normale    mancata
presentazione   della   seconda   richiesta.    Ne    consegue    che
l'interpretazione  seguita  dal  Tar  condurrebbe  di  fatto  ad  una
sostanziale inapplicabilita' della norma. 
    Infine, il sistema a regime, contemplato dal riportato  art.  23,
del  decreto  legislativo  n.  28  del  2011,  prevede,  quale  unico
presupposto per l'applicazione della suddetta misura, l'avere fornito
ai soggetti competenti dati o documenti non veritieri,  ovvero  avere
reso dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme  al  canone
della ragionevolezza diversificare  i  requisiti  a  seconda  che  il
rimedio trovi applicazione a fattispecie soggette  alla  pregressa  o
alla nuova forma di regolazione. 
    L'interpretazione fornita, che conduce, per le  ragioni  indicate
nel successivo punto, a ritenere la norma contraria  a  Costituzione,
non e' superabile attraverso la ricerca  di  un  diverso  significato
conforme a Costituzione. La  scissione  temporale  del  comportamento
sanzionato  porta,   infatti,   ad   esiti   anch'essi   contrari   a
Costituzione.  Ritenendo  che  il  completamento  della   fattispecie
illecita si realizzi nel momento della  presentazione  della  seconda
richiesta  di   incentivi   successiva   all'entrata   in   esercizio
dell'impianto   si   verrebbe   a   determinare   una   irragionevole
discriminazione, consentita dalla norma, tra  operatori  economici  a
seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima o  dopo  la
scadenza  del  predetto  termine.  Solo  nel  primo  caso,   infatti,
l'impresa sarebbe indotta a non  presentare  l'istanza  proprio  allo
scopo  di  non  subire  il  divieto  decennale  di  percezione  degli
incentivi. 
    Alla luce di quanto sin qui esposto, l'amministrazione  ha  fatto
una  corretta  applicazione  alla  fattispecie  concreta  di   quanto
stabilito dall'art. 43, inibendo,  sostanzialmente,  per  un  periodo
decennale,  l'attivita'  ai  soggetti  che  avevano  presentato   una
incompleta o falsa  comunicazione  di  fine  lavori  con  contestuale
richiesta di incentivi. 
    L'appello dovrebbe, pertanto, essere respinto qualora non venisse
dichiarata costituzionalmente illegittima la predetta disposizione. 
    In definitiva, il Collegio ritiene che  non  sia  possibile  dare
alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che  l'unica
interpretazione  possibile,  rendendo  tale  norma  applicabile  alle
fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini
della risoluzione della  presente  controversia,  alla  questione  di
costituzionalita'. 
    6. Il giudizio di non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto  dell'art.
43, del decreto legislativo n. 28 del  2011  con  gli  artt.  3,  25,
secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    7. In via preliminare, deve accertarsi se  il  rimedio  in  esame
possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti
sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. 
    Le   sanzioni,   irrogate    dalla    pubblica    amministrazione
nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la  reazione
dell'ordinamento alla violazione di un precetto. 
    La dottrina, valorizzando il  profilo  funzionale,  distingue  le
sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno
una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per  equivalente,
dell'interesse pubblico  leso  dal  comportamento  antigiuridico;  le
seconde hanno una finalita' afflittiva, essendo indirizzate a  punire
il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare  obiettivi  di
prevenzione generale e speciale. 
    Le  principali  tipologie  di  sanzioni  in  senso  stretto  sono
pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma  di  denaro,
ovvero interdittive, quando  impediscono  l'esercizio  di  diritti  o
facolta' da parte del soggetto inadempiente. 
    La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata  alla
luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). 
    La disciplina delle altre sanzioni  e'  contenuta  nelle  singole
discipline di settore, cui si applicano, ove compatibili, i  principi
generali sanciti dalla predetta legge. 
    Il decreto legislativo n. 28 del 2001 ha previsto  uno  specifico
sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. 
    L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva,
non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. 
    La natura afflittiva e' conseguenza del fatto  che  l'effetto  di
ripristinazione  dell'interesse  pubblico  leso  e'  assicurato   dal
divieto di concessione di incentivi in relazione a  quello  specifico
impianto cui si riferisce la comunicazione di  fine  lavori,  nonche'
agli  impianti  che  utilizzano   in   altri   siti   le   componenti
dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.   L'estensione   del
divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici
diverse per una durata di dieci anni  non  puo'  che  perseguire  uno
scopo di punizione del soggetto che  ha  violato  il  precetto  (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). 
    L'appartenenza  al  tipo   di   sanzioni   interdittive   risulta
chiaramente  dalla  descrizione  normativa  della   fattispecie:   il
rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici  economici  per
un periodo di dieci anni, si risolve in  un  sostanziale  impedimento
allo svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    La produzione  retroattiva  degli  effetti  e'  desumibile  dalla
circostanza che la sanzione  e'  applicabile  per  illeciti  commessi
prima della sua entrata in vigore, in quanto, come  sottolineato,  la
disciplina di legge vigente al momento della  avvenuta  comunicazione
di fine di lavori e  richiesta  di  incentivi  non  contemplava  tale
misura. Gli operatori economici del settore non  sapevano,  pertanto,
che   l'eventuale   accertata   incompletezza   o   falsita'    della
comunicazione di fine lavori avrebbe  determinato  l'applicazione  di
una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi  per
un  cosi'  lungo  periodo  temporale.  La  norma,  pertanto,   incide
negativamente sulle prevedibilita'  delle  conseguenze  derivanti  da
azioni o omissioni di coloro che esercitano  liberamente  la  propria
iniziativa economica. 
    8. L'art. 76  Cost.  prevede  che  la  delega  al  Governo  della
funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei
principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato  e  per
oggetto definiti». 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che  il
sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa  si
esplichi attraverso un  confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi
ermeneutici  paralleli.  Il  primo  riguarda  le   disposizioni   che
determinano l'oggetto, i principi  e  i  criteri  direttivi  indicati
dalla legge di delegazione, tenuto conto del  contesto  normativo  in
cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative.
Il  secondo  riguarda  le  disposizioni  stabilite  dal   legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
e i criteri direttivi della delega (da ultimo,  sentenza  n.  50  del
2014). 
    Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt.
2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti  sanzioni
penali o amministrative per violazione di  obblighi  contenuti  nella
normativa europea da attuare. In  particolare,  l'art.  2,  comma  1,
lettera c), prevede,  quali  principi  e  criteri  direttivi  per  le
sanzioni amministrative, che esse: 
      I) devono consistere nel «pagamento di una somma non  inferiore
a 150 euro e non superiore a 150.000 euro»; 
      II) nell'ambito di detti limiti devono essere determinate nella
loro  entita'  «tenendo  conto  della  diversa  potenzialita'  lesiva
dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto,
di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese  quelle  che
impongono particolari doveri di prevenzione, controllo  o  vigilanza,
nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione  puo'  recare  al
colpevole ovvero alla persona  o  all'ente  nel  cui  interesse  egli
agisce». 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 23 del 2011, nella parte in
cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non  pecuniaria  senza,
peraltro,  graduarne  l'applicazione  nel  rispetto  delle  modalita'
predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo
di copertura da parte della legge di delega e comunque  in  contrasto
con  i  principi  e  criteri  stabiliti  dalla  legge   delega,   con
conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 
    9. L'art. 25, secondo comma,  Cost.  dispone  che  «nessuno  puo'
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
prima del fatto commesso». 
    La Corte costituzionale ha piu'  volte  affermato,  su  un  piano
generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso
sfavorevole  per  gli  interessati  la  disciplina   di   determinati
rapporti, anche quando l'ometto di questi sia costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino  in  un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei  cittadini
nella «certezza  dell'ordinamento  giuridico»,  da  intendersi  quale
elemento fondamentale dello Stato di diritto»  (sentenze  n.  69  del
2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del  2010,  n.
206 del 2009). 
    Sul piano specifico delle sanzioni, la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto che  l'art.  25,  secondo  comma,  Cost.  ponga  un  divieto
assoluto di retroattivita' nella materia penale (da  ultimo  sentenza
n. 5 del 2014). 
    La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del  2010,
ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma,  in
ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricompre nel suo ambito
di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la  conseguenza
che   «ogni   intervento   sanzionatorio,   il   quale   non    abbia
prevalentemente  la  funzione  di  prevenzione  criminale  (...)   e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al momento della commissione del fatto sanzionato» (si  vedano  anche
sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del  1967,  che  hanno  ritenuto  le
sanzioni  amministrative  soggette  al  rispetto  del  principio   di
tassativita'). 
    In questa prospettiva l'art. 1, della legge n.  689  del  1981  -
nella parte in cui dispone che «nessuno puo'  essere  assoggettato  a
sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia  entrata
in vigore prima della commissione  della  violazione»  -  costituisce
espressione di regole costituzionali. 
    In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo  afflittivo
opera il principio di legalita' nella connotazione che  esso  ha  nel
settore penale, con conseguente necessita' di rispettare  i  principi
di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, prevedendo una
misura afflittiva finalizzata a  sanzionare  comportamenti  posti  in
essere prima della entrata in vigore del  decreto  stesso,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. 
    10. L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto «degli obblighi internazionali». 
    La giurisprudenza costituzionale ritiene  che  la  CEDU  contenga
norme  interposte,  oggetto  di  bilanciamento,   nel   giudizio   di
costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle  tutele
(da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). 
    L'art. 6 della CEDU  stabilisce  quali  sono  le  condizioni  che
devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». 
    L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere  inflitta
una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in
cui il reato e' stato consumato». 
    La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri  al
fine di stabilire la natura penale o meno  di  un  illecito  e  della
relativa sanzione. 
    In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: 
      I) dalla qualificazione  giuridica  dell'illecito  nel  diritto
nazionale, con la puntualizzazione che la stessa  non  e'  vincolante
quando si accerta la valenza "intrinsecamente penale" della misura; 
      II)  dalla  natura  dell'illecito,   desunta   dall'ambito   di
applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; 
      III) dal grado di severita' della sanzione  (sentenze  4  marzo
2014, r. n. 18640/10, resa nella causa  Grande  Stevens  e  altri  c.
Italia;  10  febbraio  2009,  ric.  n.  1439/03,  resa  nella   causa
Zolotoukhine c. Russia; si v. anche Corte  di  giustizia  UE,  grande
sezione, 5 giugno 2012, n. 489, nella causa C-489/10). 
    L'assegnazione alla "materia  penale"  di  un  significato  ampio
conduce a ritenere che anche il potere  amministrativo  sanzionatorio
deve  essere  esercitato  nel  rispetto,  non  solo  delle   garanzie
dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, nella parte in
cui introduce una sanzione afflittiva  con  effetti  retroattivi,  si
pone, pertanto, in contrasto non  soltanto  con  l'art.  25,  secondo
comma, Cost.,  ma  anche  con  la  suddetta  norma  convenzionale  e,
conseguentemente, con l'art. 117, primo Cost. 
    11. L'art. 3, della Cost., nell'applicazione che di esso ha fatto
la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo  del  rispetto  del
principio di  ragionevolezza  nell'esercizio  della  discrezionalita'
legislativa. 
    Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere
osservato, nella fase applicativa, il principio di  proporzionalita',
il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e  proporzionata
in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. 
    Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in
concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa  di  un  potere
discrezionale in grado di individualizzare  la  sanzione  modulandone
l'entita' alla luce della  tipologia  e  gravita'  della  violazione,
nonche' della intensita'  dell'elemento  soggettivo  (si  veda  Corte
cost. n. 299 del 1992, con  riferimento  all'entita'  delle  sanzioni
penali; si veda anche art. 11, della  legge  n.  689  del  1981,  con
riferimento all'esigenza di una  commisurazione  discrezionale  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria),  elemento,  quest'ultimo,  che
assume particolare  rilevanza  laddove,  come  nella  fattispecie  in
esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante  della  societa'
sanzionata. 
    La proiezione di  tale  principio  a  livello  costituzionale  ne
comporta  la  sua  collocazione  nell'ambito   della   regola   della
ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale  regola  una  misura
sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non
aderente alla specificita'  delle  singole  condotte,  determina  una
ingiustificata discriminazione tra operatori economici. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del  2011,  contemplando
un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente  a  tutte
le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente  possa
modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della  valenza  degli
elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie  stessa,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 
    12. L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    La  Corte  di  Giustizia  dell'Unione  europea  ritiene  che   le
autorita' preposte all'irrogazione  delle  sanzioni,  in  materie  di
rilevanza  europea,  quale  quella  in  esame,   debbano   rispettare
principio di proporzionalita' (si veda Corte di Giustizia UE, sez. I,
9 febbraio 2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n.
313 del 1990). 
    L'art.  43,  del  decreto  legislativo  n.  23  del   2011,   non
assicurando il rispetto del principio di proporzionalita',  si  pone,
pertanto, in contrasto anche con il  parametro  costituzionale  sopra
indicato. 
    13. Il giudizio di rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza
della  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  43,  del  decreto
legislativo n.  23  del  2011  impone  la  sospensione  del  presente
giudizio   in   attesa   della   definizione    del    giudizio    di
costituzionalita'.